Pagina di diario




Era appena finita la lezione di Letteratura Italiana Contemporanea. Il professore ci aveva parlato di quanto sia difficile oggi scrivere poesie, un mercato quasi finito. La cosa è strana, perché una poesia è un atto rivoluzionario, dovrebbe attrarre i lettori proprio per questo. Però confesso che quando sento qualcuno dire "ho scritto una poesia" o vedo persone che pubblicano sui social le loro poesie un po' mi sale il cringe. I poeti, se vogliono, possono essere prosatori, ma non tutti i prosatori possono scrivere poesie.

 Stavamo leggendo, in classe, "Altri libertini" di Tondelli. Un libro che raccoglie sei episodi narrativi, ma lo scenario era sempre lo stesso: gli anni Settanta e il degrado della periferia italiana. Giovani sboccati che trovano rifugio in droga e prostituzione. Uscendo dall'aula, a lezione finita, mi incammino su via Zamboni verso Piazza Verdi e pensando a un mondo senza regole come quello di "Altri libertini" mi viene in mente un episodio di quando ero piccola. Spesso d'estate io e mio fratello passavamo alcuni giorni dai nonni materni, per noi era bellissimo perché erano giorni in cui letteralmente non avevamo regole. Un giorno i nonni erano a lavorare nell'orto, mentre io e mio fratello eravamo seduti sul muretto di pietra a secco che dava sulla strada e facevamo una cosa molto stupida: a turno, quando passavano le macchine, prendevamo una nocciola da terra e facevamo finta di lanciarla così il guidatore si spaventava. Ad un certo punto vediamo avvicinarsi una di quelle auto sportive, grigio metallizzato, sicuramente molto costosa. Avevo deciso che bisognava fare qualcosa. Mi rivolsi a mio fratello e gli dissi: <<A questa gliela devi lanciare veramente>>. Lui esitò, non era molto sicuro, ma poi la macchina passò davanti a noi e a quel punto decise di farlo. Prese una nocciola e la lanciò, questa colpì il finestrino di dietro e rimbalzò in aria. La macchina accostò subito. Scese un uomo sulla quarantina, in giacca e cravatta, coi capelli ricci e neri e iniziò a sgridarci. Io e mio fratello eravamo terrorizzati. A quel punto arrivò mia nonna ridendo, rideva così tanto che doveva poggiarsi alla zappa che aveva in mano. Il tizio della macchina rimproverò anche mia nonna perché doveva insegnarci l'educazione, ma lei gli disse di mettersi in macchina e andarsene, eravamo solo bambini e il vetro non si era rotto. Poi ho capito perché nonna rideva. Rideva delle nostre facce bianche dalla paura, dovevamo prevedere che una cosa così stupida potesse avere un risvolto negativo, no? Camminavo su via Zamboni verso Piazza Verdi pensando che io e mia nonna ci somigliamo in molte cose, ma io non sono mai riuscita a ridere dei miei sbagli, vorrei imparare.

Erano circa le tre, i raggi del sole filtravano tra gli edifici che circondano Piazza Verdi. Era inverno ma non faceva freddo. Decido di fare una foto al grande striscione giallo con la scritta "verità per Giulio Regeni" perché era colpito da un unico raggio di sole. Era appeso nell'angolo tra il Paleotti e le Scuderie, poi l'hanno sostituito con un altro: "free Patrick Zaki". Ora non so che c'è. Alle mie spalle c'erano i soliti drogati sullo scalone del Teatro Comunale. Poi si avvicina un ragazzo nero che mi chiede dei soldi per il caffè. Non mi sembrava un drogato, ma non potevo saperlo. Di solito hanno i denti marci e la faccia come se si fossero appena svegliati dopo una rissa. Almeno quelli di Piazza Verdi sono così. Non mi piace dare i soldi ai drogati, contribuisco alla loro rovina. Allora gli chiedo se ha fame e quello mi risponde di sì. Quindi apro lo zaino e gli do la metà della mia pizzetta che non avevo finito di mangiare a pranzo. <<Grazie mama>> mi dice e se ne va. 



Decido di entrare alle Scuderie. E' un bar a Piazza Verdi molto grande dove puoi sederti e studiare. Ci sono i tavolini, grandi scale di legno e un tavolo lungo un po' più appartato. Prese della corrente in ogni angolo, wifi e cibo fatto in casa. Il servizio è l'unica pecca forse, c'è una cameriera trans che tratta bene solo i ragazzi, una donna bionda super lenta e un tizio strano che coi colleghi sorride sempre mentre guarda male i clienti. A me piace lo stesso, quindi ci vado. Sempre meglio di quel bar a via del Pratello dove la barwoman dopo aver miscelato i cocktails lecca il cucchiaino. Resto lì un paio d'ore a studiare, poi me ne vado. 

Vado verso via Rizzoli. Sotto un portico trovo un ragazzo che vende fotografie, cartoncini, disegni. Trovo una foto in bianco e nero di Pasolini, in primo piano, con un maglioncino e un cappotto e con la mano che si sfiora il viso mentre a tre quarti guarda qualcosa in alto. Decido che la voglio e la compro a 1 euro. Poco più avanti una ragazza cerca di vendermi il Manifesto Comunista, è sempre la stessa, bassina, bionda, pelle chiara e occhi verdi, non lo compro. Più avanti trovo il classico scatolone di poesie. In pratica si lascia questo scatolo per strada pieno di poesie arrotolate e chiuse con un elastico, tu lasci qualche spicciolo o quello che vuoi e peschi una poesia. Lascio una penna e prendo una poesia.

 

IO E L’UNIVERSO INFINITO

La luna e le stelle

In alto

Solinghe e Celesti…

Le guardo e chiedo

Perché?

Non trovo risposta alla voragine

Che sprofonda dentro di me.

Sorriso beffardo e labbra arrossate

Dalle troppe parole

Ormai dimenticate

Promesse cristalline svanite

Negli abissi che portano con sé

Lacrime di sale e acqua

Pianti funerei

Risate ridenti

Il cuore batte

E non si ferma…

Il cuore.. Scrigno segreto

Di ogni emozione

Sangue che fluisce e

Dà vita

E poi gli occhi

Specchi viventi e parlanti di noi…

Luci solari

Abbaglianti di chiarore

Soli mancati

In pallidi visi

E noi creature

Nell’immenso firmamento

Fiori di un prato

O erba secca

Di lande desolate

Sospiri sinceri

In anime perse

In sogni vissuti

Tra nuvole di pioggia

Noi…

Un misto di vita e morte

Noi…fili sottili

Di trame intricate…

Noi

IO

Pallido sole

Fiore che sboccia

Acqua corrente

Di fiumi in tempesta

Colori vivaci

Di grigie tele assonnate

Che… piano piano

Si svegliano

E salutano

Un nuovo giorno.



Visto? Cringe.

A via Rizzoli prendo l'11 per tornare a casa. Mi siedo più o meno al centro e prendo dallo zaino il primo libro di Giorgio Bassani che ho letto: "Gli occhiali d'oro". La storia di un medico omosessuale durante il fascismo. Un libro che si legge tutto d'un fiato. Noto che sale sul bus una ragazza molto bella, con gli occhiali e i capelli rossi e si siede vicino a un uomo sulla cinquantina. Ad un certo punto questo inizia a parlare al telefono con una voce molto alta, troppo alta. Sembra che stia parlando col medico perché parla di visite, analisi. La ragazza coi capelli rossi si infastidisce e si allontana preferendo stare in piedi. Dopo due minuti la telefonata finisce e scopro che per tutto il tempo il signore in realtà stava parlando con un pacchetto di sigarette. 

Non vorrei essere in nessun altro posto.








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