Rima baciata o mazza chiodata? Argenti vive e il canto di Dante.
Tra nove giorni uscirà il nuovo album di Caparezza. Un
album più atteso del solito, visto che il maestro ritorna dopo una pausa di
quattro anni e visto che Capa non è un tipo molto legato ai social, tanto è
vero che qualche settimana fa ha pubblicato la sua prima storia su Instagram
proprio per annunciare il nuovo album.
Ritorno anche io da una pausa abbastanza lunga, so che
il paragone non regge (xd), ma comunque non mi sono affatto riposata, anzi. Il
latino mi sta togliendo ogni briciolo di sprint vitale. Ho molte idee, ma mai
il tempo di realizzarle. Come al solito: sarebbe una materia stupenda se i
professori non la rendessero insopportabile.
In questi giorni mi è capitato di leggere alcuni
commenti e analisi sui due nuovi singoli di Caparezza: Exuvia e La
Scelta. Li ho ascoltati molte volte e ci sono dei bellissimi spunti di
riflessione su entrambi, ma credo che ascolterò prima l'intero album per farmi
un'idea più completa, avrei l'impressione di fare una cosa a metà.
Ho ripreso, però, molti singoli del suo repertorio che
non ascoltavo da un bel po'. Da Dagli all'untore passando
per Cose che non capisco e La fine di Gaia fino
a Cover. E qualche giorno fa ho riascoltato Argenti
vive. Io devo ammettere che ammiro le persone che hanno sete di
cultura. Ammiro quelle persone che non hanno vergogna di dire che non sanno una
cosa, anzi, lo gridano a gran voce nel disperato bisogno di apprendere, di
conoscere. Quelle persone che quando ci parli si vede che hanno letto tanti
libri e sono appassionate di molte cose. Caparezza mi dà l'impressione di
essere proprio così. Nella maggior parte dei suoi testi ci sono rimandi
letterari, artistici, storici e cinematografici. Per non parlare della cultura
musicale che sfoggia ad ogni occasione, ma lì un po' te l'aspetti essendo
musicista. Il tutto però condito con una grande umiltà, che solo persone colte
hanno. In un'intervista ad esempio ha dichiarato di essere molto affascinato da
Dante e dal suo linguaggio, tanto che ad ogni lettura resta sempre sbalordito
dalla sua grandezza, ma che in una canzone, Argenti vive, si è
preso il lusso di prenderlo un po' in giro. Vediamo come.
La canzone riprende l'ottavo canto dell'Inferno quando
Dante e Virgilio si trovano nel girone degli iracondi. Arrivano davanti a una
palude, la palude Stige, dove vedono avanzare velocissima una piccola barca
verso di loro con a bordo il demone Flegias. Flegias, come praticamente
tutti i custodi infernali di Dante, è un personaggio della mitologia greca.
Secondo il mito, infatti, Apollo aveva sedotto la figlia del sacerdote Flegias
e quest'ultimo, accecato dall'ira, ha incendiato il tempio dedicato al dio.
Quando il traghettatore infernale vede Dante e Virgilio, costretto dal volere
divino, li fa salire sulla barca per portarli fino all'altra riva, cioè di
fronte alle mura della città di Dite. Da questa palude che stavano
attraversando emerge uno spirito tutto sporco di fango che Dante all'inizio non
riconosce. Quest'anima parla proprio con lui e gli chiede cosa ci facesse lì
vivo. Dante risponde che è solo di passaggio e chiede invece chi fosse lui. Lo
spirito non risponde alla domanda, troppo orgoglioso, dice solo che è un'anima
sofferente. Dante, di solito, prova pietà per le anime infernali, ma non questa
volta, perché ha riconosciuto il suo interlocutore: si tratta di Filippo
Argenti. Un nemico Guelfo Nero di Dante che gli ha confiscato i beni mentre lui
era in esilio e che aveva la fama di essere un tipo violento, che alzava subito
le mani e legato ai soldi (per questo Argenti). Si dice anche addirittura che
un giorno avesse schiaffeggiato pubblicamente Dante. Per questo il poeta gli
risponde che è giusto che lui soffra in quella melma e che deve restarci.
Filippo Argenti, udite queste parole, preso dall'ira, cerca di mettere le mani
al collo di Dante salendo sulla barca, ma viene prontamente respinto da
Virgilio che lo rimanda giù "con li altri cani". Poi
consola Dante e gli dice "Alma sdegnosa, benedetta colei che 'n te
s'incinse!". Cioè "Oh anima sdegnosa, benedetta colei che
rimase incinta di te". Poi Dante confessa a Virgilio che desidererebbe
ardentemente prima di arrivare a destinazione di vedere Filippo Argenti
annegare nel fango e Virgilio gli risponde che è un desiderio giusto e che
verrà appagato subito. Tutte le altre anime infatti gridarono "A Filippo Argenti!"
e iniziarono a picchiarlo, morderlo, prenderlo a pugni; lo stesso Filippo
mentre annega si morde da solo infuocato dalla rabbia.
Nella canzone di Caparezza il punto di vista cambia.
Non è più Dante il narratore ma proprio Filippo. Filippo Argenti deride Dante,
gli dice che è un debole, che non è nessuno e che lo picchierebbe molto
volentieri. "Il mondo non è dei
poeti, il mondo è di noi prepotenti! Vai rimando alle genti che mi getti nel fango, ma io rimango
l'Argenti!"
Poi arriva la frase a mio parere più importante del testo: "Argenti vive, vive, vivrà, alla gente piace la mia ferocità, persino tu che mi anneghi a furia di calci sui denti, ti chiami Dante Alighieri, ma somigli negli atteggiamenti a Filippo Argenti!"
Il senso per me è che per quanto possano essere
immortali i concetti della pietà, della poesia, dell'amore e di tutti i temi
trattati da giganti come Dante, lo saranno anche il male, la ferocità, la
prepotenza e l'idolatria della violenza.
Insomma, quel che è chiaro è
che Dante nel poema ha avuto la vendetta che non ha avuto sulla terra. Tanto è
vero che così come Filippo Argenti soleva picchiare gli altri e prendersela coi
più deboli, adesso nell'inferno viene picchiato e fatto scempio del suo corpo e
per di più Dante gode di questa visione. Ed è così che i posteri ricorderanno
la sua persona: non come il signorotto prepotente di Firenze, ma come l'anima
sofferente presa a morsi nel fango per l'eternità. Esiste vendetta più efficace
di questa? Vivere per sempre in questo modo in uno dei più grandi poemi al
mondo? Ma allora se Dante gode nel vedere un suo nemico soffrire, non commette
anche lui un peccato? E se lo chiede anche Caparezza nella canzone. Non è in un
certo senso sceso al suo livello? In realtà, Dante non può parlare
la stessa lingua di Filippo, perché lui conosce solo il linguaggio della
violenza, che non appartiene al poeta. Infatti Virgilio lo chiama "Alma
sdegnosa", non "alma iraconda". La differenza è proprio qui: una
persona che agisce secondo ira è una persona che ha accecato la sua
ragione, invece quello di Dante è uno sdegno positivo, perché incanala la sua
rabbia nella ragione e la usa per creare poesia e soprattutto non rimane in
silenzio di fronte all’ingiustizia.
E voi? Preferite rima
baciata o mazza chiodata?
Quivi il
lasciammo, che più non ne narro.
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